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05/11 2024
Salute

Tumore della prostata: sempre più frequente ma sempre meno “imbattibile”

— di Ilaria Coro, con la consulenza scientifica di Elisa De Lorenzis

In Italia il tumore della prostata rappresenta quasi il 20% di tutte le neoplasie che colpiscono gli ultracinquantenni.

Negli ultimi decenni c’è stato un costante incremento della sua incidenza: l’aumento delle diagnosi è dovuto principalmente alla maggiore adesione ai programmi di screening. Individuando precocemente questo tumore, la percentuale della sopravvivenza dei pazienti ha raggiunto oltre il 90% a 5 anni dalla diagnosi. Per capire quali altri fattori influenzano la sopravvivenza e quali sono i percorsi diagnostici e terapeutici di questa neoplasia, ne abbiamo parlato con Elisa De Lorenzis, specialista dell’Urologia del Policlinico di Milano.

Screening gratuito del tumore alla prostata in Lombardia


Quanti uomini sono colpiti ogni anno dal tumore della prostata e chi è più a rischio?

In Policlinico ogni anno seguiamo oltre 300 pazienti con questo tumore. Sono particolarmente a rischio di sviluppare questa neoplasia i maschi dopo i 50 anni, o dopo i 45 anni con familiarità di primo grado (padre o fratelli affetti) per neoplasia prostatica. Inoltre, gli uomini di etnia africana hanno un maggior rischio di diagnosi di neoplasia in stadio avanzato.

Esistono diversi tipi di tumore alla prostata?

La prostata contiene molte piccole ghiandole, costituite da acini (così chiamata visto loro forma ad acino d'uva) e dotti (piccoli tubuli). Nella prostata sono presenti diversi tipi di cellule che possono potenzialmente diventare cancerose. Tuttavia, la maggior parte dei tumori prostatici colpiscono gli acini e vengono chiamati adenocarcinomi di tipo acinare. In 7 casi su 10, questo carcinoma interessa la porzione periferica della ghiandola ed è quindi  facilmente apprezzabile anche all’esplorazione rettale.

Infine, la diversa aggressività delle differenti forme tumorali dipende da alcuni fattori: da quale tipo di cellula è coinvolta, dal grado (cioè quanto il tessuto tumorale sia diverso rispetto al tessuto prostatico normale) e dallo stadio (ossia se la neoplasia è confinata alla prostata o estesa al di fuori dei suoi margini, con metastasi ai linfonodi o ad altri organi).

Quali sono i campanelli d’allarme per un tumore alla prostata?

Solitamente il tumore della prostata è asintomatico, almeno nelle fasi iniziali. Il sospetto viene posto sulla base della palpazione prostatica per via rettale e del valore dell’antigene prostatico specifico (PSA). Si tratta di un enzima prodotto dalle cellule che rivestono gli acini e i dotti della ghiandola e che si può dosare eseguendo un semplice prelievo del sangue.

Come si diagnostica?

Il dosaggio del PSA accompagnato dall’esplorazione rettale e dalla raccolta della storia clinica del paziente rappresentano il primo passo per poter identificare gli uomini con questo tumore. In caso di sospetto clinico, è indicata l’esecuzione della risonanza magnetica (RMN) multiparametrica della prostata, che permette di individuare le aree “sospette”. Sulla base dell’esito della RMN viene deciso se e come effettuare una biopsia (prelevando millimetrici campioni di tessuto dalla ghiandola prostatica, in vari punti o solo nelle zone sospette evidenziate dalla RMN).

Nel caso in cui fosse confermata la presenza del tumore, quali sono le opzioni terapeutiche?

A seconda del grado di rischio della neoplasia (basso, intermedio o alto) vi sono varie opzioni terapeutiche. Per stabilire il grado si considerano 5 parametri: valore del PSA, presenza di noduli all’esplorazione rettale, stadio della malattia, numero di prelievi positivi alla biopsia prostatica e grado di “aggressività” del tumore.

Nel caso di basso rischio, un’opzione è la sorveglianza attiva che consiste nel non intervenire subito, ma nel monitorare attentamente e periodicamente il paziente con  dosaggi del PSA, visite mediche e biopsie prostatiche ad intervalli definiti. Eventualmente è possibile passare ad un trattamento attivo qualora la malattia peggiorasse o per scelta del paziente. Il trattamento consiste nella prostatectomia radicale, ovvero la rimozione totale della prostata, indicata anche nei tumori prostatici a basso rischio, soprattutto in pazienti motivati e che non vogliano convivere con la neoplasia prostatica.
Nei tumori più avanzati la gestione include più trattamenti quali chirurgia, radioterapia e ormonoterapia in modo da aumentare le possibilità di guarigione. Nei tumori metastatici la terapia è medica e si avvale di ormonoterapia e chemioterapia.

In cosa consiste la prostatectomia radicale?

Attualmente il tipo di chirurgia più impiegato è quello robotico. I bracci robotici, dotati di una articolazione simile al polso umano, sono guidati dal chirurgo tramite una console. Grazie a due manipolatori (molto simili a un joystick), è possibile eseguire movimenti accurati e garantire una maggiore attenzione nella conservazione dei nervi che permettono all’uomo di avere un'erezione. Una particolare telecamera consente di operare guardando l'immagine del campo operatorio con ricostruzione tridimensionale, ingrandita di 10 volte rispetto all’occhio umano. Questo intervento consiste nell’asportazione dell’intera prostata, consentendo la guarigione completa del paziente. Inoltre, se indicato dal grado di rischio di malattia, verranno tolti anche i linfonodi nella regione pelvica.

La chirurgia robotica consente di eseguire l'intervento in modo minimamente invasivo e con estrema precisione. Al Policlinico di Milano l’attività robotica è stata introdotta nel 2007. Il percorso formativo prevede un addestramento all’attività robotica a partire dai primi anni della scuola di specializzazione in Urologia.

Quali sono i vantaggi principali rispetto alle tecniche tradizionali?

Il paziente già il giorno dopo l’intervento si può muovere autonomamente e può tornare a casa dopo solo 3 giorni. Il sanguinamento è minimo e il dolore post-operatorio è minore consentendo un ridotto uso di farmaci antidolorifici e una convalescenza più breve. Infine, l'approccio robotico consente un vantaggio anche in termini di recupero della potenza sessuale e continenza urinaria.

È previsto un programma di rieducazione e riabilitazione sessuale post intervento che supporti il paziente?

Al Policlinico di Milano esiste un ambulatorio Andrologico dedicato alla riabilitazione sessuale farmacologica e non, oltre che un ambulatorio di Uro-Oncologia dove i pazienti sottoposti a prostatectomia radicale vengono seguiti sia dal punto di vista funzionale che terapeutico.

Quali sono i rischi e le possibili complicanze?

Dopo l’intervento di prostatectomia si potrebbero manifestare, in modo transitorio, incontinenza urinaria e disfunzione erettile. Il periodo necessario alla risoluzione dell'incontinenza, comunemente, avviene entro alcune settimane.

Per quanto riguarda la disfunzione erettile potrebbero influire diversi fattori: la capacità erettile del paziente prima dell’intervento, l’età del paziente e, a seconda dello stadio della malattia, la possibilità di eseguire una chirurgia radicale che non danneggi i nervi durante la prostatectomia. Nella fase post-operatoria è possibile ricorrere a farmaci in grado di ristabilire in una percentuale di casi le erezioni e ridurre i tempi di recupero. Mancando la prostata, in tutti i pazienti operati non si avrà più la fuoriuscita di sperma durante l’eiaculazione, mentre la sensazione dell’orgasmo rimarrà invariata.

Qual è il percorso successivo in Policlinico di Milano?

A circa due settimane dall’intervento il paziente è convocato per la consegna dell’esame istologico: in questa sede si deciderà come impostare il successivo percorso di controlli e/o ulteriori terapie. Il paziente potrà essere indirizzato o all’ambulatorio di Uro-Oncologia,  se sono necessarie chemioterapie o terapie di supporto, o all’Istituto Nazionale dei Tumori - ente con il quale collaboriamo attivamente - se fosse necessaria una radioterapia di completamento.

Com'è la qualità della vita del paziente dopo l’intervento?

Grazie alla compilazione di una serie di questionari da parte dei pazienti, prima e dopo dell’intervento, è possibile affermare che la qualità di vita risulta solitamente molto buona e la ripresa veloce.

Sono possibili recidive?

Una quota (tra il 27% e il 53%) di pazienti affetti da neoplasia prostatica sottoposti a trattamento attivo potrebbero avere una recidiva. Risulta quindi indispensabile il follow-up urologico dopo l’intervento di prostatectomia radicale, che consiste in visite ambulatoriali e dosaggi del PSA nel tempo. La sopravvivenza, anche dopo recidiva, risulta molto elevata a patto che essa sia diagnosticata precocemente.


Robot chirurgico in Policlinico di Milano

Il robot, oltre che per il tumore della prostata, viene utilizzato in ambito urologico anche per le patologie renali (sia benigne che maligne), per le patologie dell'uretra (stenosi ureterali iatrogene e/o congenite) e per la patologia pelvica infiammatoria (fistole urinarie). In Policlinico esiste un programma di chirurgia robotica multispecialistica e il robot viene utilizzato anche dagli esperti di Chirurgia Generale, Chirurgia Epatica, Chirurgia Toracica, Otorinolaringoiatria, Chirurgia Pediatrica, Urologia Pediatrica e Ginecologia.


Le 5 mosse per una prostata a prova di tumore

 

1. Mangiare cereali integrali, frutta e verdura

   Evitare cibi ricchi di zuccheri che provocano un rapido aumento della glicemia e dell’insulina

                              

2. Svolgere attività fisica moderata per 20-40 minuti al giorno

 

3. Mantenere un peso sano

 I depositi di grasso a livello addominale potrebbero produrre molecole che favoriscono lo sviluppo del tumore prostatico

 

4. Non fumare e consumare in modo moderato l’alcool

   L’abuso di alcool favorisce la crescita di tumore alla prostata

 

5. Rimanere sessualmente attivi

    2-4 rapporti a settimana ridurrebbero il rischio di sviluppare una neoplasia prostatica

 

La migliore prevenzione è sottoporsi ogni anno ad una visita urologica