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01/09 2023
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#RICERCA. Malattia di Parkinson: nuove prospettive per una diagnosi rapida con un solo test del sangue. Fabio Blandini tra gli autori dello studio internazionale

— Ilaria Coro, con la consulenza scientifica di Fabio Blandini, direttore scientifico

Ci sono malattie che, per loro natura, non sono così facili da diagnosticare, rallentando quindi l’inizio di un percorso terapeutico adeguato. Come nel caso della malattia di Parkinson: 10 anni è infatti il tempo medio che separa il primo sintomo dal momento in cui il paziente riceverà una diagnosi corretta. Per di più, si ipotizza che i primi danni cerebrali sia da retrodatare di almeno 5-6 anni. Un ritardo che, grazie alla scienza, potrebbe essere azzerato con un semplice prelievo del sangue. Fabio Blandini, direttore scientifico del Policlinico di Milano, è tra gli autori di un articolo, pubblicato in questi giorni sulla rivista scientifica Science Translational Medicine, che riporta i promettenti dati di un lavoro internazionale su un test del sangue in grado di diagnosticare la condizione prima che si sviluppi il danno al sistema nervoso.

Si stima che siano 10 milioni le persone colpite in tutto il mondo dalla malattia di Parkinson, una condizione che causa una perdita progressiva e irreversibile delle funzionalità cerebrali con conseguente tremore, rigidità, bradicinesia e instabilità posturale. Si tratta della seconda malattia neurodegenerativa più comune dopo l'Alzheimer. Attualmente, la malattia di Parkinson viene diagnosticata in gran parte sulla base di sintomi clinici dopo che si è già verificato un danno neurologico significativo.

Da queste premesse, un team di ricercatori internazionali guidati della School of Medicine della Duke University, sulla base di precedenti dati che hanno dimostrato un legame tra il danno al DNA mitocondriale (mtDNA) e un elevato rischio di malattia di Parkinson, si sono concentrati su questa alterazione per diagnosticare precocemente la patologia con un semplice test del sangue. I mitocondri sono piccole centrali energetiche cellulari che convertono l'energia grezza in una nuova forma, necessaria, ad esempio, per regolare la neurotrasmissione e i meccanismi con cui i neuroni si adattano in risposta ai vari cambiamenti.
Utilizzando la tecnologia della reazione a catena della polimerasi (PCR), si è visto che i  pazienti con malattia di Parkinson avevano un livello più elevato DNA mitocondriale (mtDNA) danneggiato rispetto a persone senza la patologia.
Inoltre, il nuovo esame ha anche identificato alti livelli di mtDNA alterato nei campioni di sangue delle persone con la mutazione del gene LRRK2, che è stata associata ad un aumentato rischio di sviluppare la malattia. Il test è stato anche in grado di rilevare i pazienti affetti dalla malattia con e senza mutazioni LRRK2 e un'ulteriore analisi ha dimostrato che il danno a livello dell’mtDNA è inferiore nelle cellule trattate con un farmaco inibitore di LRRK2 (anche nei pazienti senza la mutazione) rispetto a chi non ha ricevuto questa terapia.

Fabio Blandini, direttore scientifico del Policlinico e professore ordinario di farmacologia dell’Università di Pavia, che ha partecipato alla ricerca, come già commentato su La Repubblica: "Sappiamo dagli anni Novanta del coinvolgimento dei mitocondri nella malattia, ma finora non avevamo un test in grado di misurare il danno del DNA mitocondriale in modo veloce, efficiente  e riproducibile come quello sviluppato dai colleghi della Duke University. Sono stati condotti anche test su pazienti con Alzheimer, nei quali questo danno non è stato rilevato, a riprova del fatto che questa alterazione rappresenta un tratto caratteristico della malattia di Parkinson che potrebbe indirizzare studi futuri su farmaci in grado di bloccare il processo neurodegenerativo, anche individuando sotto-popolazioni in cui questa anomalia è particolarmente pronunciata. Per dire con certezza se questa metodica possa avere un valore diagnostico saranno comunque necessari studi ulteriori su casistiche più ampie, ma l’interesse di questi dati è indubbio".

 


 

A blood-based marker of mitochondrial DNA damage in Parkinson’s disease